Ashram Gandhi, Candidasa, Bali.
Ci sono viaggi che sembra stiano lì ad aspettarti e ci sono posti che quando ti prendono non ti lasciano più. Il mio viaggio si chiama Bali (chi mi conosce sarà anche stufo di sentirmelo dire) e il mio posto si chiama Ashram Gandhi.
Bali è una delle 18.000 isole indonesiane, l’unica indù, e con questa pecora nera ho convissuto per più di un mese, nella tranquillità che solo una finestra aperta su di un oceano che profuma d’incenso può regalare.
Per capire Bali forse un mese non basta, oggi voglio provare a far capire cos’è un ashram, che tanti me lo chiedono che sono curiosi.
L’ashram può essere un modo diverso di vivere un luogo, diverso dai soliti hotel o bed and breakfast; il mio si trova a Candidasa, comodamente seduto sulla costa Sud-Orientale dell’isola degli dei, quella meno turistica. Si tratta di una specie di comunità, un gruppo di persone che si trovano a condividere idee, spazi e progetti e tante volte anche una filosofia di vita; come dice il nome, quello dove sono stata io si ispira al pensiero del Mahatma Gandhi.
Per vivere in un ashram, per essere accolti al suo interno, ci sono delle regole, che a seconda dei posti possono essere più o meno rigide; io vi parlo di quello che ho vissuto, che ho molto apprezzato proprio per la sua elasticità e apertura mentale. A Candidasa nessuno ha mai provato a vendermi un credo e nessuno mi ha mai obbligata a fare niente: per assurdo avrei potuto trascorrere un mese in completo isolamento dal mondo e chi mi avrebbe detto nulla. Ho scelto però di interagire con queste persone e con gli ospiti che man mano arrivavano e ripartivano, e quello che ne è uscito è stata un’esperienza di vita che mi porterò sempre appresso e che mi ha profondamente cambiata.
La mia giornata tipo, quando non ero impegnata in sortite alla scoperta dell’isola, iniziava col sorgere del sole sotto la veranda del mio bungalow sulla spiaggia, in compagnia di un libro innaffiato da un caffè balinese (sì, me lo facevano trovare a domicilio!). Colazione, pranzo e cena erano insieme ai membri dell’ashram e agli altri ospiti, all’ombra di un “bale” che non aveva pareti, solo un tetto di paglia a riparare dal sole. Si mangiava seduti a terra, tutti attorno ad un’unica stuoia, e scalzi, che le ciabatte si lasciavano qualche gradino sotto.
La mattina trascorreva tra chiacchiere con chi capitava a tiro e ozio sulla spiaggia libro in mano, o in attesa di una seduta di agopuntura, buona per la meditazione o per i malanni chi ne ha. I pomeriggi erano per stare per i fatti propri o per dare una mano nelle diverse attività: cucinare per la sera, aiutare ad aggiustare qualcosa, catalogare piante: in certi casi il limite è la sola fantasia. Prima di cena chi voleva si poteva dedicare per un paio d’ore allo yoga, con molti ospiti anche dall’esterno: vista oceano e il solo rumore delle onde a scandire il ritmo del respiro.
Parlavo di regole, qualche riga sopra: i membri della comunità sono vegetariani, quindi niente carne (in compenso ho scoperto il tempeh e mi ci sono innamorata, che lo mangio tuttora), all’ashram poi non si bevono alcolici e non si fuma. Finito. Tutto sommato non è terribile, no? Uno la birretta se la può fare anche fuori, dai!
E’ stato un mese dove ho letto, scritto, viaggiato e incontrato visi che avevano esperienze mai sentite da raccontare.
Ho salito migliaia di scalini per raggiungere templi a un soffio dal cielo.
Mi sono alzata alle tre di notte per andare a fare la spesa al mercato su di un autobus pieno di banane.
Ho visto villaggi dove l’acqua arriva solo due volte al mese con un’autocisterna.
Ho visto contadini chini a raccogliere il riso pianta per pianta, con la faccia più felice del mondo.
Ho visto gente trasportare sacchi pieni di sale sulla sabbia nera, col sudore che gli colava fin dentro le ossa.
Ho comprato il gelato al mango e mi hanno dato il resto in caramelle.
Ho imparato a cucinare in una cucina senza soffitto.
Ho preso una barca per le Gili e l’acqua arrivava alle caviglie anche se stavo sottocoperta, che fuori proprio non si poteva rimanere.
Ho camminato sui pavimenti di palazzi galleggianti.
Ho scoperto che non si fa yoga, yoga lo si è.
Ho guardato cadere le stelle dell’altro emisfero, la notte di San Lorenzo, e ho espresso il desiderio di tornare.
E le stelle mi hanno ascoltato.